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editoriali
Se ne abbiamo avuto una coscienza sufficiente, è stata l'esperienza di una minaccia in parte oscura in un mondo in cui cerchiamo il più possibile di chiarire il tutto, e di controllarlo (anche) in modo scientifico-tecnico, specialmente quando è nocivo. C'è qualcosa di piccolo-enorme che conosciamo (diversamente dalla peste del 1300 e da quella manzoniana), ma che almeno inizialmente non riusciamo a controllare. Il fatto è questo: siamo minacciati. Siamo intimoriti da quel materiale genetico (Dna) parassita in quanto non auto-sufficiente, per cui ha bisogno dei corpi umani per sopravvivere. Di conseguenza gli altri esseri umani, coi loro corpi, ci insidiano con la sola presenza, col loro fiato avvelenato. Temiamo gli altri, e gli altri temono noi. Siamo tutti pericolosi e impauriti. «L'enfer c'est les autres», diceva Sartre. Siamo la società della paura, associati nella paura, dissociati per la paura. Tu paura per me, io paura per te. Bruttina assai, la situazione umana. Tanti muoiono (la fila di camion militari carichi di salme, chi la dimentica?), tutti possiamo morire. Stiamo chiusi in casa, usciamo in fretta, l'indispensabile, per pane e latte e poco più. Le strade sono vuote, non c'è da guardarsi dalle auto, c'è silenzio. Non è poi così male. Leggeremo poi che l'aria è molto migliorata. Ci diamo coraggio: bandiere dai balconi, cartelli sui portoni «Andrà tutto bene», disegnati dai bambini. Si scherza, si canta, divertenti vignette su facebook: il 25 aprile, da qualche balcone «Bella ciao!», anche con la chitarra. Da altri balconi niente. Qualcuno avverte subito, dai primi dibattiti in tele-conferenza: è troppo innaturale per bambini e ragazzi il taglio della socialità (la scuola, i coetanei). La telescuola rimedia qualcosina, ma il più manca. Per i vecchi, altri problemi. Per quelli ricoverati è tragedia. La famiglia è valorizzata? Mah. Oppure, la solitudine accentuata? Si intensificano le comunicazioni via web, grande scoperta il lavoro da casa, più ancora che la scuola da casa. Anche qui, però, discriminazione secondo le possibilità: chi deve lavorare fuori per forza, chi con maggiori contatti pericolosi, come le cassiere dei supermercati: un giorno il papa le nomina nella preghiera delle sette alla tv, seguita da molti. La tv è la finestra più grande: da lì si può uscire. Ci si fida del governo e dei medici: cos'altro si può fare? Verrà poi, a emergenza calante, l'accusa estremista al governo di aver fatto un esperimento totalitario. Anzi, di avere inventato la pandemia, che era «una normale influenza». Salvo moltiplicare le morti naturali. Spicca il ruolo morale di papa Francesco: alle 7 del mattino, e la sera del 27 marzo in piazza S. Pietro deserta: c'eravamo tutti, empi e pii. Un grande momento di uguaglianza: «Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato». «Nessuno si salva da solo». Intanto, le chiese senza messa. Crisi di quella religione che respira principalmente nei momenti rituali. Discussioni sulla necessità o meno del clero e del rito sacro, sulla fede «in spirito e verità», e rivendicazione dei vescovi verso lo stato, e il papa che dice di tutelare anzitutto la salute fisica, e lo scandalo dei tradizionalisti. Le preghiere contro il virus (anche il papa), oppure per invocare lo Spirito che ci sostiene e ci guida? Il mondo, in conclusione, è insicuro: si sa che arriverà un altro virus dopo questo. L'equilibrio tra le specie selvagge e la specie umana è rotto, col disastro ambientale in corso. Abituarsi all'emergenza. Mascherine sul viso per tutta l'estate, e oltre, probabilmente. Una paura aggiunta a quella ambientale e atomica. Poi, al primo sollievo, il tuffo nella vita piacevole precedente: movida, mare, viaggi, imprudenze. Ma i dati calano (salvo Lombardia e Piemonte, e cominciano le cause giudiziarie) e dunque, via! Specialmente i giovani. E le conseguenze economiche: crisi di portata storica, crollo del Pil, imprese fallite, posti di lavoro perduti, famiglie nel bisogno, code ai centri di ascolto (parrocchie, conventi, moschee, associazioni, banco alimentare...) dove si distribuiscono cestini alimentari completi. Meno male che c'è l'Europa, e l'euro, quello da cui certuni volevano uscire. La prima immagine è su un cestino, calato da un balcone a Napoli: «Chi può metta, chi non può prenda». Poi un po' dappertutto. L'effetto più sano del virus: altri hanno bisogno, non sono soltanto un contagio. Socialismo spontaneo, il migliore. Insomma: apprendimento, o stolto oblio? A noi rispondere nei fatti. □
Quello tratteggiato sopra è lo scenario che potremmo dover affrontare nel post-pandemia. Abbiamo però questa volta un’alternativa: la possibilità forse irripetibile di imboccare tutti insieme una strada diversa. Innanzitutto perché gli Stati si trovano in una situazione di precarietà e debolezza difficilmente valutabile, che non dà a nessuno la certezza di uscirne meglio di altri, e poi perché la globalizzazione in cui viviamo, potente e fragile nello stesso tempo, invita tutti alla prudenza. Infatti se si dovesse frantumare, le perdite sarebbero incalcolabili: per qualcuno molto alte, per altri minori ma ingenti per tutti. È per questo che assistiamo con molto interesse e speranza al dibattito che si sta svolgendo nell’Unione europea, emblematico e precursore di quello che potrebbe avvenire a livello globale. Gli europei debbono decidere come fronteggiare l’emergenza e sono indecisi tra il «si salvi chi può» e la solidarietà. Il confronto politico si svolge con difficoltà, stretto tra due tendenze regressive: la furbizia di una parte dei paesi più deboli che vogliono cogliere l’occasione dell’emergenza per attingere a piene mani ai fondi comuni, senza preoccuparsi di correggere antichi e nuovi mali, spesso incancreniti, e senza assumersi impegni o responsabilità, e la tentazione di importanti frange politiche dei paesi più forti di approfittare della situazione di debolezza di altri per migliorare ancora la loro posizione. Le trattative tuttavia procedono e si sono fatti alcuni importanti passi avanti come l’intervento illimitato della BCE per l’acquisto del debito pubblico emesso dai singoli Stati, evitando così il fallimento dei più deboli, l’istituzione da parte della Commissione europea (il governo europeo) di un fondo comune per le emergenze e la possibilità per i vari paesi di ottenere prestiti a tassi agevolati (non è ancora chiaro, però, se ci sono condizioni, e quali, per accedervi). Si sta discutendo se dare alla BCE la facoltà di emettere titoli del debito pubblico dell’Unione con tassi di interesse decisamente più bassi di quelli praticati agli Stati più indebitati. Lo sviluppo di queste faticose trattative ha un’importanza generale perché può indicare una strada da seguire per il resto del mondo. A livello globale, infatti, la politica non si è ancora mossa, ciascun paese annaspa per conto suo con sporadici gesti di solidarietà. Ma prima o poi si porrà il problema perché, come detto, la globalizzazione non fa sconti: l’affondamento di interi continenti o la lotta di tutti contro tutti potrebbe trascinarci in una spirale perversa. Questa potrebbe essere dunque l’occasione per una svolta, per allargare la visione politica e quella dell’opinione pubblica dal ristretto ambito locale al livello globale, là dove si possono affrontare veramente questa come le altre emergenze che ci affliggono. Per questo però il mondo ha bisogno di leader coraggiosi, lungimiranti e pronti a cogliere i segni che la storia ci sta pressantemente inviando, come papa Francesco. □
![]() Se tu non vai a Sanremo, non è detto che Sanremo non venga da te. Le canzoni di Sanremo non sono in cima agli interessi della redazione del foglio (purtroppo?), ma nessuno di noi ha potuto esimersi dal leggerne di tutti i colori sul monologo di Roberto Benigni sul Cantico dei Cantici in mondovisione. Commenti entusiasti o critici, di cattolici di sinistra e cattolici di destra, di parte ebraica, chi lo ha trovato blasfemo chi irritante chi affascinante e chi perfino geniale. Un dato è certo: è una benignata, non una lectio magistralis. Benigni è un comico. Con questi limiti, ha sdoganato un libro dell’Antico Testamento (o della Bibbia ebraica), ignoto ai più. Leggere e attirare l'attenzione sulla poesia e sulla Bibbia nei media è sempre un'operazione importante e interessante. Dobbiamo temere la contaminazione col pop? Ed è interessante e importante anche citare la bibliografia di un intervento a Sanremo, in un'epoca in cui si fa fatica a dichiarare fonti e difendere l'autorità di studiosi e scienziati (cioè di qualcuno che ne sa un po' di più dell'amico su Facebook). Nel merito, la scelta del Cantico è stata “furba” per un contesto come Sanremo e forse ha fatto in fin dei conti un buon servizio alla causa della necessità di (ri)leggere la Bibbia per capire la nostra cultura e il nostro mondo. Tanto per fare un solo ma significativo esempio: come si capisce lo Stil Novo senza questa tradizione di testi erotico-mistici? «In un Paese afflitto da un drammatico analfabetismo biblico, il segnale è positivo e non va sottovalutato. Così, milioni di italiani hanno appreso che il Cantico dei cantici esiste» (Brunetto Salvarani). Infinitamente di più di quelli che hanno partecipato il 17 gennaio alle iniziative della Giornata del dialogo ebraico-cristiano, il cui tema era appunto il Cantico. O di quelli che parteciperanno al convegno nazionale di Biblia su «Sogni e visioni dalla Bibbia a oggi» che si svolgerà a Torino dal 27 al 29 marzo. Non si può comparare i milioni di persone che è in grado di raggiungere un intervento pop come questo rispetto alle decine, forse qualche centinaio di persone di un convegno scientifico. La biblista Rosanna Virgili su «Avvenire» ha dovuto ricordare a un lettore incredulo che la chiesa cattolica ha impedito per secoli l’accesso alle Scritture. A forza di citazioni di documenti papali ha mostrato come dopo il Concilio di Trento (1545-63) «le traduzioni principali furono considerate fuorilegge e per due secoli nessuna Bibbia in traduzione venne pubblicata in Italia e per altri due secoli la Bibbia non apparve nelle case dei cattolici». E come solo il Concilio Vaticano II con la Dei Verbum «stabilisca una vera cesura con il passato circa la conoscenza e la diffusione della Bibbia nella Chiesa cattolica. Siamo nel 1965: poco più di cinquant’anni fa». Ci ha lasciati perplessi l'esacerbazione unilaterale ai fini dello spettacolo della lettura philologically correct e quindi la mortificazione della forza polisemica del testo e la cancellazione di secoli di letture e interpretazioni, che appartengono di diritto alla storia della tradizione, oltreché alla fortuna di questo testo. Forse l’esacerbazione sessuale è spiegabile come intenzione polemica contro un'educazione sessuofobica. Benigni per essere politicamente corretto ha anche infilato nel Cantico omosessuali e lesbiche. Bene buttar via l'acqua sessuofobica, ma attenzione al bambino che non è solo sesso. Non c'è bisogno di veder organi sessuali e amplessi ovunque per coglier l'eros del Cantico: si pensi ai versetti nel Vespro della Beata Vergine di Claudio Monteverdi, purissimo uso liturgico dell'eros: Nigra sum... Ecce iam hiems transiit... Surge, amica mea… □ |
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