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Avvertenza

 

Sino al numero 347 (dicembre 2007) l’editoriale viene reso per intero nella pagina in questo numero.

Dal numero successivo il testo completo deve essere letto alla voce specifica editoriali riportati per numero progressivo. Poiché la pagina si apre sempre sull’ultimo aggiornamento, un editoriale deve essere ricercato facendo riferimento al numero del giornale.



 386

La grande manifestazione degli indignados del 15 ottobre, anche in Italia, e la bella Perugia-Assisi del 25 settembre, dimostrano una vasta volontà, chiaramente nonviolenta, di giustizia sociale e di pace. L'aggressione dei violenti organizzati, con lo scopo di deturpare il significato della positiva indignazione morale e politica – scopo comune sia alla rabbia antipolitica distruttiva e nichilista, sia agli interessi duri e cinici, che chiudono le vie politiche – è stata indebitamente premiata da chi le ha concesso il primato dell'importanza. Giusto l'allarme, non il rovesciamento delle proporzioni.

È giusto sottolineare che i media, forse in maggioranza, hanno evidenziato il carattere pacifico della manifestazione in netto contrasto con i violenti. Commenti come quelli di Fabrizio Rondolino su Il Giornale e di Pietrangelo Buttafuoco su Il Foglio quotidiano del 18 ottobre, riversano puro disprezzo e insulto sui motivi e sullo spirito dell'indignazione. Il secondo dimostra un violento disgusto per la giustizia qualificando di «puzzolentissimo» il nobile nonviolento libretto di Stéphane Hessel, Indignatevi (da noi recensito nel n. 381, di aprile), primo interprete del movimento.

L'informazione meno intelligente sa vedere l'albero che cade ma non sa (o non vuole) udire la foresta che cresce. Anche spettatori non partecipi, non attenti alla proposta, criticano la manifestazione (come è facile lo scetticismo esigente!) perché non sa fermare i violenti, come se i manifestanti avessero il compito democratico della polizia. È da notare che molti di loro hanno collaborato ad individuare i violenti, giustamente, purché non si condanni il violento di strada più dei grandi malfattori in guanti bianchi. Il populismo di governo e quello di opposizione (Di Pietro) hanno subito pensato a leggi eccezionali, invece di cominciare a togliere politicamente le cause che indignano, in tutto il mondo, la coscienza umana della giustizia (lo comprende anche Draghi). Ora, il movimento deve continuare nelle forme nonviolente attive e propositive, in un clima e con premesse sempre meglio in grado di resistere alle contaminazioni, riflettendo sul che fare.

***

Ricompariranno in politica i cattolici organizzati come tali, con l'avallo del cardinale d'Italia? Ma chi sono i cattolici nella società? La sociologia che conta i numeri dice: quel terzo degli italiani che va a messa. Ma perché si va a messa? C'è una religione del sistema e una religione della verità vitale. C'è una religione dell'assicurazione, che non impegna nel servizio alla vita libera e giusta per tutti, popoli e persone, e si accontenta di non fare direttamente il male, pur in un sistema che fa il male, con la fame e la guerra istituzionalizzate, in difesa della nostra tranquillità iniqua e spaventata. Poi c'è una religione della fede in Cristo e nel suo vangelo, e questa affronta il mondo per amore del mondo, non lo accetta così com'è, ne contesta i poteri oppressivi, selettivi, iniqui, cinici e violenti. Questi cattolici, insieme ad altri cristiani di fede, e ad ogni spirito teso nella ricerca del bene, non sono disponibili a fare da supporto all'esistente. Non si lasciano contare in una chiesa gestita come una lobby sociale, che sbandiera valori misti ad interessi, che fino ad oggi ha contrattato appoggi vergognosi ai peggiori d'Italia, e ora vuol salvare capra e cavoli.

I cattolici che hanno fede nel Cristo crocifisso dal Sinedrio e da Pilato, e non intronizzato da Costantino e Teodosio, consapevoli dei propri peccati, difetti ed omissioni, ma non rassegnati, confidano che la storia umana sia chiamata, tra mille travagli, al regno della fraternità. Il loro apporto, che si attende più attivo, deve consistere non solo in voti contabili, ma soprattutto in un ideale umano pratico di solidarietà, giustizia, sobrietà, cooperazione e pace, chiara alternativa alla sfrenata competizione individualistica che oggi sfianca l'umanità. Essi – vogliamo sperare - lavoreranno in politica con chiunque saprà meglio compiere qualche passo concreto e deciso in questa direzione, perciò nella giustizia, nella pace, nella liberazione degli schiavi.

o

 

 385

Pressato dalla crescente denuncia dell'assordante silenzio con cui le autorità della Chiesa  proteggevano il capo del governo italiano, evitando ogni esplicita parola di condanna della sua ostentazione di uno stile di vita per più versi scandaloso e corruttivo, finalmente il Presidente della Cei ha parlato. Grave è il ritardo, prudente la decisione di tacere nome e cognome dell'impunito, vista la deplorevole disinvoltura con cui vari dignitari ecclesiastici si erano lasciati trascinare a infangare la dignità morale e umana di papà Englaro e del povero Welby, ma pur sempre chiaro e doveroso l'invito al capo del governo a liberare le istituzioni da ogni pratica di corruzione morale, economica e politica.

Persino un noto «immoralista» come Oliviero Toscani aveva già provveduto a riempire le città con un manifesto di denuncia del degrado a cui le boccaccesche vicende, che coinvolgono il cavalier Berlusconi, hanno portato il nostro comune modo di impostare la relazione uomo-donna. E molti di noi sono stati urtati dall'apparire, improvviso, al centro di un incrocio, di un cartellone gigante con cinque uomini nudi con testa di coniglio, porco, toro, gallo e montone che reggono, offrendogliela, una donna succintamente vestita.

Ora, anche se con minore efficacia, nello specifico, si pronuncia Bagnasco, liscio, composto, impassibile, come una controfigura di sé stesso, davanti a un assemblea di vescovi che nulla si sentono in dovere di aggiungere di loro, ma unanimemente consentono. D'altra parte, prima dell'ultimo vertice Cei, fuori del coro dei genericissimi inviti al rigore morale di cittadini e politici, di fronte al montare degli scandali delle notti di Arcore, di villa Certosa e palazzo Grazioli, davanti al diffondersi dei processi per corruzione, alle gravissime iniziative repressive e persecutorie del governo verso gli immigrati, solo poche voci di vescovi anziani ed emeriti, ormai privi di ogni potere, s'erano rese udibili, avevano alzato sonore proteste e fatto precise denunce. I titolari di diocesi o di ruoli attivi nei vari dicasteri romani, hanno fatto e continuato a fare i «pesci in barile», mettendo in mostra la deplorevole tendenza a comportarsi più da «quaquaraquà» che da pastori di comunità vive e impegnate nella ricerca di una vita evangelica.

Questo governo, dunque, sembra aver esaurito il suo tempo, e, a giudizio comune, anche dei vescovi, finalmente, dovrebbe fare le valige. Vedremo, ma intanto, ci sembra opportuno sottolineare quanto sia doloroso il fatto che si sia dovuti giungere a tanto. Che personalità laiche di grande prestigio e anche semplici credenti come noi, convinti del dovere di tutelare l'autonomia della politica da ogni clericale ingerenza, abbiano dovuto chiedere alla Chiesa di prendere la distanza da un governo tanto pesantemente corrotto. Forse così non sarebbe stato se proprio questo governo non avesse sempre sbandierato la sua obbedienza alle linee operative dettate dalla Chiesa, e la Chiesa non lo avesse ringraziato e appoggiato a seguito delle sue iniziative legislative sui temi della nascita e della morte, del finanziamento delle scuole private, della detassazione dei beni ecclesiastici, della difesa del modello cattolico di famiglia. Cioè, se non avesse prostituito sé stessa e tradito la sua vocazione profetica a difendere i più deboli.

Quello che è stato è stato; ma affinché tutto ciò non si ripeta, ci pare opportuno riprendere la conclusione di un bell’articolo di Barbara Spinelli, comparso su «Repubblica» del 21 settembre, dove si augura che la Chiesa riscopra quelle virtù di libertà, giustizia e sincerità evangelica che permisero, nel IV secolo, a Ilario di Poitiers di rivolgersi all'imperatore Costanzo in questi termini: «Noi non abbiamo più un imperatore anticristiano che ci perseguita, ma dobbiamo lottare contro un persecutore anche più insidioso, un nemico che ci lusinga; non ci flagella la schiena ma ci accarezza il ventre; non ci confisca i beni (dandoci così la vita), ma ci arricchisce per darci la morte; non ci spinge verso la libertà mettendoci in carcere, ma verso la schiavitù invitandoci a palazzo; non ci colpisce il corpo, ma prende possesso del cuore; non ci taglia la testa con la spada, ma ci uccide l'anima con il denaro».

o

 384

In un discorso tenuto qualche tempo fa, il Presidente Napolitano ha esortato i politici ad usare un linguaggio di verità sulla crisi economica che attraversiamo. Proposito apprezzabile, temiamo però che per i nostri mediocri politici, ma anche per la maggioranza di quelli che gira oggi per il mondo, sia impresa impossibile.

Dovrebbero dirci che in Occidente il consumismo deve essere ridimensionato e lo sviluppo impetuoso vissuto durante tutto il 900, irripetibile. Cioè lo scopo per cui hanno vissuto e lavorato molte generazioni di occidentali non può più essere perseguito: avere sempre più posti di lavoro a disposizione, condizioni sempre migliori, qualifiche sempre più alte, stipendi crescenti con i quali aumentare di anno in anno i consumi è ormai al di fuori della nostra portata. Queste possibilità si aprono ormai ai popoli di alcuni paesi un tempo definiti terzo mondo. Dovrebbero ammettere di non avere il controllo del sistema economico, o peggio, di essere proni o non avere la forza di opporsi al volere di ristrette oligarchie finanziarie mondiali.

D’altra parte tutti i movimenti di contestazione dagli anni ’60 in poi sono sempre partiti da un concetto di base: se l’Occidente continua ad aumentare il consumo delle risorse e migliorare il suo tenore di vita, il divario di sviluppo con gli altri paesi non potrà essere colmato, anzi aumenterà perché il mondo è limitato. È impossibile per le masse asiatiche, africane, latino americane consumare quanto gli occidentali, è impossibile accrescere la produzione di anno in anno all’infinito.

La cultura dominante in Occidente ha sempre ridicolizzato queste elementari osservazioni, alimentando l’illusione di un progresso senza fine, fino a farne l’unica nostra ragione di vita.

Ora che è in atto questo caotico riequilibrio che scuote l’economia globale e la finanza spadroneggia incurante delle tragedie che provoca fin nel cuore dell’Occidente, dovrebbero dirci che si sono sbagliati, che per il futuro condizioni di vita sempre migliori sono riservati solo a ristrette minoranze. Non possono farlo! Ma anche se non lo dicono (in realtà non dicono più nulla) lo abbiamo capito anche se non lo vogliamo ancora confessare apertamente. E la pesantezza dell’aria che si respira in Occidente, la scarsa gioia di vivere, la mancanza di speranze,anzi la paura del futuro, la crisi della democrazia, le nere ombre che compaiono qua e là lo attestano.

Chi l’ha capito molto meglio di tutti sono sicuramente i giovani delle periferie urbane: le loro rivolte, come è avvenuto per la recente londinese e qualche tempo fa per quelle francesi e americane, si scatenano dopo l’uccisione, da parte delle forze dell’ordine, di uno di loro, che assurge a simbolo della precarietà della loro vita in balia di forze ostili e poteri lontani e senza volto e si indirizzano contro i rappresentanti di questo potere che acquistano in strada il volto da alieni dei poliziotti in assetto anti sommossa e contro gli amati-odiati beni con le distruzioni e i saccheggi.

Perché ormai molti nodi stanno venendo al pettine e il problema che abbiamo di fronte solo in prima approssimazione è economico, in realtà è molto più profondo e riguarda una scelta: la scelta del modo in cui vogliamo lavorare, abitare la terra, vivere in una comunità che abbracci tutto il mondo. E questa scelta deciderà il futuro per molto tempo a venire.

o

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