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editoriali
![]() Salvini e la destra volevano nuove elezioni, dopo solo un anno e mezzo, considerando l'espressione diretta popolare superiore alle istituzioni formate democraticamente. Costoro ‒ anche per convenienza del momento (dopo le elezioni europee e i sondaggi), oltre che per la malattia endemica italiana, del «fascismo autobiografia della nazione» (Gobetti) – pensano la sovranità del popolo come assoluta, che crea un potere sacralizzato e "pieno", con una delega immediata e umorale, autospoliazione dei cittadini, eccitata da stimoli continui che scavalcano i tempi della discussione ragionata, libera, e dell'informazione seria. La tendenza rinunciataria nel pubblico, accanita nel privato, rende un popolo servo e maltrattato, ingannato. Questi mali sono nel nostro popolo, che proprio per questo deve educarsi, deve imparare la dignità e i doveri, almeno quanto rivendica i diritti. Specialmente Salvini (ma fin da Craxi e Berlusconi: “politica spettacolo”, leaderismo, partiti personali) ha instaurato o potenziato un "regime del twitter", sulla misura dei risultati sportivi, esasperando l'aspetto di gara-concorrenza politica al di sopra del confronto-discussione-deliberazione. In quell'ottica è chiaro che il Parlamento ‒ dove si «parla» per potere decidere al meglio ‒ non vale come il popolo e la piazza. Infatti, Fratelli d'Italia subito, e la Lega per il 19 ottobre (una settimana prima del 28 mussoliniano) convocano la piazza. Anche la piazza è legittima espressione, ma, come non è legittimo un “tribunale del popolo” in uno stato di diritto dove governa la legge e non i capi, non chi si impone, così la piazza può, e deve anche, “manifestare”, richiedere, esigere, denunciare, ma non può decidere. Se si vogliono usare le elezioni democratiche come un rilievo immediato dell'umore popolare, delle passioni eccitate, si semina violenza e divisione, mentre la democrazia è «la prima forma di nonviolenza» (Norberto Bobbio). La democrazia, infatti, è il pacato discorrere, il dare tempo al confronto corretto, e poi è il contare i pareri, in luogo dell'imposizione con la forza materiale, e anche con la violenza della parola. Le istituzioni servono proprio a raccogliere e interpretare fattivamente la volontà popolare, in forme operative, con una continuità e stabilità sufficiente a mettere in atto i programmi politici democraticamente scelti. La democrazia è idealmente una “aristocrazia”, cioè un “potere dei migliori”, non dei trafficoni incompetenti, o peggio. Ha perciò bisogno di etica pubblica, di ragionamento pubblico disteso e libero, di informazione corretta, di un popolo istruito. Non di urla e insulti, né di turpiloquio ministeriale. Come ha detto Giuseppe Sala, sindaco di Milano, questo governo fatto oggi si poteva fare un anno e mezzo fa, e si evitava l'avvelenamento pubblico seminato da Salvini. Fu Renzi (per qualche calcolo suo sbagliato) a fare muro al tentativo di portare i 5Stelle, almeno una parte, dal “vaffa” alla politica. Così si è dato tutto lo spazio a Salvini, che ha agito illegalmente da capo del governo, per terra e per mare. Conte ha parlato ora (ma non prima!) di un “nuovo umanesimo”. Non si tratta solo del modo di trattare i migranti, ma certamente si tratta di questa onta della politica italiana fino ad oggi. Il problema è difficile, ma inevitabile e sarà crescente: esso deve essere orientato anzitutto al rispetto e alla difesa di ogni vita umana, criterio assoluto nella ricerca di soluzioni pratiche. Si tratta di dare una ritrovata misura di umanità alla vita politica interna e mondiale. Queste due dimensioni sono sempre più inseparabili, collegate. Come agirà l'Italia nel piano della ormai unica «famiglia dei popoli» (Giovanni XXIII nella Pacem in terris)? Avrà sapienza sufficiente, e meditazione sulle esperienze, per una politica estera di giustizia, pace, libertà? Forse è meglio chiamarla “planetaria” e non “estera”, perché sempre meno c'è separazione fra interno ed estero, per ogni popolo, nel mondo attuale. La scelta europea di questo governo sembra chiara. Speriamo che non solo contribuisca a salvare e realizzare al meglio l'ideale europeo civile, umanistico, federalista, pacifico, ma anche a porre l'Europa come perno di ragionevolezza nelle tensioni mondiali tra colossi, sulla pelle dei popoli. Queste relazioni, oggi, sono in mano a figure inferiori alle grandi tradizioni civili, alle antiche culture umane, con le quali la nostra Europa può tenere dialoghi fecondi di umanizzazione. Per Platone, il politico è anche, lo voglia o no, un educatore (buono o cattivo) della polis. Rappresenta visivamente un concetto e una pratica di convivenza, del vivere insieme. La politica è azione complessa: a) è fare, in ordine ai problemi, alle necessità, agli obiettivi e speranze (Ossicini diceva: è «organizzazione della speranza»); ma è anche: b) sapere, conoscenza della storia e dell'animo umano, cultura ed esperienza, che mancano alla frenesia di “cambiamento”; ed è: c) un buon volere, un'etica del vivere insieme, plurale, giusto, il più possibile felice per gli altri non meno che per sé. Da un governo serio non ci si attende né promesse mirabolanti, né una navigazione senza orizzonti, ma un cammino serio. E da tutti noi cittadini, favorevoli o contrari al governo, è dovuto un contributo di buona volontà, critico ma costruttivo, non per sé ma per tutti, nel nostro paese e nel mondo. □
A Cremona, la sera del 3 giugno, ancora meglio. Un ragazzo mostra una sciarpa sotto il palco di Salvini: «Ama il prossimo tuo». Militanti leghisti l'hanno malmenato, spintonato e preso a schiaffi. Al fatto avrebbero assistito alcuni uomini della Digos del posto, che hanno identificato il giovane, ma non gli aggressori: nel parapiglia hanno trovato lui ma non chi lo ha malmenato. L'aggredito è stato visitato dal personale di un'ambulanza del 118 presente nei giardini di piazza Roma, e gli sono state riscontrate alcune contusioni. La questura di Cremona ha aperto un'indagine, lui ha 90 giorni di tempo per denunciare le lesioni subite. Salvini dal palco lo irride: «Lasciatelo da solo, poverino, se non c'è un comunista non ci divertiamo. Mi fanno simpatia quelli che nel 2019 vanno ancora in giro con la bandiera rossa e la falce e martello. A Milano c'è il Museo della Scienza e della tecnica dove si studiano i dinosauri». Infatti, per Salvini amare il prossimo è un grave atto arcaico-comunista. Lui sa cos'è il rosario ma non il vangelo. Per il sistema selettivo, amare chiunque incontri sulla strada della vita, è una colpa, è un reato da colpire! Un ragazzo come questo della sciarpa evangelica, non bacia i crocifissi di latta, ma ama i crocifissi dal sistema. Ci chiediamo: quale cristianesimo è usato in politica dalla destra nazional-sovranista-antiinternazionalista-antisolidarista, fino a limiti razzisti e persecutori, feroci e disumani? Ecco il punto, che tocca il valore proprio della politica tanto quanto l'autenticità del cristianesimo. È in corso dal Concilio, oggi incarnato in papa Francesco (più che nei papi precedenti), una revisione di portata millenaria: il cristianesimo storico si confronta con il vangelo di Cristo. Questo confronto tocca e scuote moltissime cose del cristianesimo istituito. Nessuna meraviglia che ci sia opposizione aspra, anche politica e complottistica contro Francesco, contro la revisione evangelica del cristianesimo (vedi i cardinali "tridentini" che condannano Francesco per eresia). Nessuna meraviglia che la competizione politica si faccia forte delle tradizioni devozionali più corrive, e si rivesta di sacro, abusando di Gesù e di sua madre (è più facile). È già successo molte volte, e anche più in alto di un "capitano", spregiudicato demagogo. Dove la secolarizzazione ha più dissolto la cristianità, cioè quel cristianesimo identificato in un sistema socio-culturale, ci sono più possibilità di ritrovare il vangelo di Gesù, nel cammino spirituale plurale dell'umanità. La chiesa dei credenti nel vangelo di Gesù oggi deve accettare questa sfida, la stessa che fu posta a Gesù dalle folle, dalle autorità, e infine da Giuda: «O servi alla causa politica nazionale, e ti fai Davide liberatore, oppure il potere religioso e politico alleati ti eliminano, perché il tuo vangelo dei poveri, degli esclusi, degli irregolari e degli stranieri, è pericoloso agli interessi forti, alla continuità di chi conta, alla sicurezza». Si trattava di quella stessa sicurezza assicurata alla gente dal Grande Inquisitore, che infatti condanna Gesù e la sua libertà. In politica Gesù ha solamente contestato il potere di chi opprime e inganna gli ultimi, e ai discepoli dà come unica regola “politica” il servire e non dominare: «Non così tra voi» (in Matteo 20, Marco 10 e Luca 22). Il “vivere per gli altri”, che egli ha testimoniato fino in fondo, è anche l'anima di una politica un po' umana, del convivere, non sopraffare, del condividere, non arraffare. Già la manna nel deserto era distribuita con la regola «nessuno senza, a nessuno troppo». Sono temi brucianti, che potrebbero riguardare anche il tema che forse sarà di un Sinodo: «Fede e politica». Non è un tema ecclesiastico, ma umano, perciò propriamente politico. La politica ha bisogno di una fede. Non una determinata fede religiosa ‒ che è della spiritualità personale e non della “polis”, la casa di tutti ‒ ma una fede nell'umanità e nelle sue possibilità di convivenza giusta. Chi non crede in questa possibilità degli umani, starà tra loro, nel migliore dei casi, come un domatore della belva umana, e avremo sempre l'infelicità politica che già conosciamo. Nei casi peggiori, sarà un comandante che promette tutto per avere obbedienza, e meriterà resistenza civile nonviolenta, se avremo ancora un'anima libera. Chi invece stima l'umanità di tutti capace, pur con fatica, di “grandezza” e non solo di “miseria”, di pace e giustizia, può lavorare, con la necessaria fatica, alla costruzione di un sereno convivere, produttivo di qualità umana. Il realismo politico è quello che vede i ritardi, i vizi, ma anche i desideri qualificanti e gli slanci al bene, presenti insieme nella nostra comune umanità. □
Forse è bene non caricare questi ragazzini del compito di “salvare” il mondo, e scaricare troppo velocemente la coscienza. Ma un paio di lezioni, sì, possiamo prenderle da loro, per dare risposta ad alcune urgenze del nostro tempo. La prima: il pastrocchio che è nato dalla richiesta della cittadinanza per Ramy, col ministro Salvini che prima nega e poi acconsente fiutando gli umori del popolo. Di sfuggita, va notato come il microcosmo di quel bus metta in luce una realtà più complessa di come venga normalmente descritta: l’autista senegalese, che vuole fermate le morti nel Mediterraneo, i due ragazzini uno con e l’altro senza la cittadinanza italiana e un gruppo di ragazzi italiani. Ma il dibattito sullo ius soli, abbandonato anche per motivi elettorali alla fine della precedente legislatura, avrebbe bisogno di una riflessione seria che non si appoggi a questo tipo di reazioni tutte e solo giocate sull’emotività («Vogliamo fare i carabinieri!»). Se ius soli deve essere, che sia un diritto, e non una regalia. Se poi, giustamente, si vuole dare un riconoscimento ai due ragazzini, ci sono altri modi per farlo. Delle proteste a Torre Maura contro l’accoglienza di 77 rom nel centro di via Codirossoni tutti hanno in mente, forse, l’immagine dei panini buttati per terra e calpestati, il 3 aprile. Un gesto disumano, accompagnato dalla frase «Pezzi di m… dovete morire di fame». Doppia mancanza di rispetto per il pane, perché il pane è ciò di cui vivono tanti uomini, e perché quel pane era destinato ai poveri. Dobbiamo contrastare questa barbarie e tornare, il prima possibile, a una convivenza pacifica e civile. «La storia ci insegna che piccoli atteggiamenti di razzismo portano poi a trovare delle giustificazioni, primo passo verso una ideologia razzista vera e propria, con tutte le conseguenze che ci possono essere. Per ora è un misto di rancore e di cattiveria, enfatizzato da alcuni per interessi che sono davvero vili e non sono degni dell’umanità», sostiene Enzo Bianchi. «Noi non eravamo abituati né preparati ad accogliere masse di emigranti come è avvenuto. Siamo stati noi migranti e ce ne dimentichiamo, purtroppo. Tutto questo fa sì che l’accoglienza sia percepita oggi come una brutta parola che fa dividere gli uomini tra buonisti e quelli che restano legati a una identità locale e temono l’arrivo di altre persone straniere». Poi c’è chi moltiplica la paura o se ne serve per ragioni politiche, e arriva a disprezzare chi pensa che l’accoglienza sia (ancora) uno dei doveri dell’umanità. Ed ecco la seconda lezione: Simone che dice, nel suo romanesco un po’ rude «A me nun me sta bene che no». Un ragazzino di 15 anni ‒ come si vede nel video diventato virale ‒ che tiene testa, solo, al leader di CasaPound Mauro Antonini. Vale la pena leggere la trascrizione di quel dialogo. Simone: «Quello che lei sta facendo è una leva sulla rabbia della gente per fare i suoi interessi, per i voti». Antonini: «Te sei contento che hanno messo 70 rom qua?». Simone: «A me 70 persone non mi cambiano la vita. A me il problema non è chi me svaligia casa, il problema mio è che me svaligiano casa. Se me svaligia casa un rom, tutti je demo annà contro, poi quando è italiano mi devo star zitto che è italiano. È sempre la stessa cosa, si va sempre contro la minoranza, a me nun me sta bene che no. Perché pare che la minoranza cambia tutto». Antonini: «Ti sembrano una minoranza i rom in Italia?». Simone: «Sono una minoranza che sì, noi siamo 60 milioni. Nessuno deve essere lasciato indietro: né italiani né rom né africani né qualsiasi tipo di persona». Un secondo militante: «Sei uno su cento, siete dieci su mille». Simone: «Almeno io penso. Almeno io non mi faccio spingere dalle cose vostre per raccattare voti». Un secondo militante: «E perché, quelli della tua fazione politica non ci vengono qui?». Simone: «Io non c’ho nessuna fazione politica, io so de Torre Maura». Un terzo militante: «Mia moglie esce alle 4.30 di mattina di casa perché lavora in una clinica sull'Ardeatina e attacca alle 8 di mattina... ma deve uscire alle 4.30 perché il Comune di Roma qui a Torre Maura non ce dà nessun servizio». Simone: «E la colpa è dei rom?». Il castello di carte dei suoi interlocutori cade di fronte a questa domanda: «E la colpa è dei rom?». Simone ha messo in luce la falla dell’argomentazione usando un semplice pizzico di logica. E così ha smascherato non solo la stupidità dei razzisti, ma anche l'inerzia di chi avrebbe dovuto sostenere una normale argomentazione antirazzista. E non l'ha fatto. Ma a onor del vero il mondo non sarà salvato dai ragazzini. Forse non sarà salvato da quell’altro ragazzo che in una trasmissione televisiva ha detto che i rom «non sono come noi» scatenando l’applauso del pubblico (e il dissenso del presentatore). Forse sarà salvato da coloro, ragazzi e non, che si porranno sempre e di nuovo da capo il compito di umanizzare la società in cui viviamo. □ |
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