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 417 - Realtà e verità / 6

 

Trionfo (e tonfo) del soggetto

 

Se la realtà è ciò che conosciamo quando affermiamo che questo o quello è vero e se la verità è il frutto certo di quanto ci è dato conoscere della realtà, allora è chiaro che tra realtà e verità c'è una corrispondenza biunivoca.

L'una cioè si rispecchia fedelmente nell'altra e il processo conoscitivo è l'attività che ci consente questo reciproco rispecchiarsi, ce lo illustra e ce lo conferma.

Rispondere all'interrogativo su cosa sia la realtà e cosa la verità, su cosa diciamo quando apriamo la bocca per dire queste due parole fondamentali per la nostra lingua, corrispondenti a due concetti chiave del nostro pensiero, dovrebbe essere facile. Così non è. Abbiamo visto quanto sia complesso il cammino della riflessione filosofica su questi temi. Da secoli ci si dilania sull'individuazione dei processi di conoscenza. Processi che sono influenzati dai metodi di acquisizione del sapere, dalle trasformazioni anche tecnico-operative avvenute nella storia, dai cambiamenti sociali e culturali, dal variare dei “paradigmi” scientifici (T. S. Khun). Tanto che persino le dinamiche dell'esperienza e gli strumenti concettuali della logica sono ormai oggetto di discussione.

 

Chi è soggetto e chi oggetto?

Nulla può più essere dato per scontato o acquisito, neppure chi è il soggetto della conoscenza e chi ne è l'oggetto. Neppure i due tradizionali sistemi gnoseologici in concorrenza tra loro, l'empirismo e il razionalismo sono più chiaramente rappresentabili come due scuole diverse, capaci di garantire esiti possibili. Da oltre due secoli il criticismo kantiano ha ferito a morte il loro antico prestigio e la critica di Marx, Kierkegard e di Nietzsche, seguiti a ruota da Freud, alla solidità della razionalità teoretica dell'intelletto, nei campi cruciali della scienza, della cultura, della storia, dell'etica, hanno insieme moltiplicato e complicato i campi di analisi del mondo del sapere, ma ne hanno anche problematizzato la coerenza e la capacità di persuasione.

Una prima indicazione su quanto il sempre instabile terreno dei sistemi filosofici e scientifici si vada trasformando in una sabbia mobile, ci viene dal processo metamorfico a cui sono sottoposti due dei concetti chiavi della gnoseologia: quelli di soggetto e di oggetto. Soggetto ci dice l'analisi logica della nostra adolescenza è colui che compie l'azione e oggetto colui che la subisce. Ciò vale ancora per noi adulti e valeva, in base allo studio delle lingue classiche, anche per gli antichi.

Non è così costante, invece, la teoria della conoscenza nell'individuare quale è per lei il soggetto attivo e l'oggetto passivo. Noi oggi tendiamo ad attribuire a chi acquisisce il sapere la qualifica di soggetto e alla cosa conosciuta quella di oggetto. Dall'occhio parte lo sguardo che vede il fiore. Di riffa o di raffa è dalla semplice pretesa o constatazione che il processo conoscitivo parta/e dalla mente del vivente, che nasce il cosiddetto soggettivismo moderno, tanto inviso ai tradizionalisti. Fino al cuore del Medioevo non è stato così. Tutte le scuole filosofiche e scientifiche antiche ritenevano che punto d'avvio del sapere fossero gli esseri che costituivano l'insieme della realtà. Era da essi che partiva lo stimolo, l'eidolon, l'immagine, che colpiva l'occhio e ci avvertiva della presenza del fiore. Era il nostro oggetto ad essere soggetto. Mentre la mente umana era come l'oggetto che recepiva, a mo' di tabula rasa (tavoletta liscia di morbida cera) le impressioni che le venivano dalla realtà esterna. Dal che noi oggi diciamo che la tipologia conoscitiva antica tendeva all'oggettività, cioè alla fedele riproduzione mentale di quanto ci sta di fronte come oggetto.

Che la conoscenza fosse oggettiva in tal senso, lo pensavano gli stoici e gli epicurei, i platonici e gli aristotelici, per vie diverse. Tanto che questi ultimi ritenevano che le dieci categorie della loro logica (sostanza, qualità, quantità…), formatesi come nostro strumento conoscitivo con l'esperienza del reale, costituissero di fatto un bagaglio intellettuale capace di riconoscere le cose, in quanto da esse le avevamo ricavate. I platonici, invece, ipotizzavano l'esistenza di un’anima spirituale e di un mondo di esseri ideali, di cui quello materiale era copia. Le idee modello e l'anima, dice Platone, incontratesi nell'iperuranio incorporeo, potevano così riconoscersi anche una volta incarnate nella materia. L'importante era garantire la possibilità di un sapere vero perché oggettivamente rispondente ad una realtà eterna e immutabile, fosse essa spirituale e semi-trascendente, come per Platone; materiale e immanente come per Aristotele; modellata sull'essere eterno di un Dio trascendente, ma creatore del mondo e dell'uomo, “sua immagine”, come per il cristianesimo patristico e medioevale.

 

Cambiano i ruoli e la trama si complica

Difficile è definire il momento in cui inizia la trasformazione del soggetto in oggetto e dell'oggetto in soggetto. Più facile è indicare in Kant e nelle sue tre Critiche, frutto maturo dell'Illuminismo, l'esito finale di tale movimento; l'inizio, discusso, ma storicamente vincente del soggettivismo otto-novecentesco. Sono gli schemi “a-priori” della mente, fondamentalmente innati perché precedono l'esperienza, ma empiricamente applicati ai dati esperienziali, perché solo lì utilizzabili e indagabili, a permetterci di trasformare il nostro contatto con la realtà in sapere. È il mondo a essere oggetto e siamo noi ad essere soggetto in tale processo veritativo e la verità è garantita dall'incontro sincero tra i due e dal fatto che il mondo è stabile e gli schemi a-priori, teoretici, etici ed estetici sono universali, identici per qualsiasi umana ragione.

Basterà che l'idealismo hegeliano metta in discussione la stabilità metafisica del mondo, spostando il peso del primato conoscitivo e operativo interamente sul soggetto universale (Spirito), perché questi resti il solo e infallibile protagonista della storia e della sua cultura e all'oggetto, come natura, rimanga soltanto la qualità passiva della materia manipolabile. La verità resta garantita nella teologia immanentista di Hegel, dove un “Dio-Spirito del tempo” guida dialetticamente la storia, come ragno che trae da sé la sua tela. Tutto è qui ridotto a unità dinamica necessitante che ingloba soggetti e oggetti singoli, libertà, materia, spirito, vero, falso, bene e male, contraddizioni e dialogo.

Al tempo stesso sarà sufficiente che, su diversi fronti e con diversi intenti, a ciò si ribellino Kierkegaard e Nietzsche, perché l'ordine, così sapientemente ricostruito intorno alla signoria del soggetto, rimetta in gioco tutto: l'oggetto e il soggetto stesso, la razionalità della natura e della storia. Kierkegaard interviene in difesa della libertà e dell'esperienza esistenziale del singolo e della totale alterità dell'Unico Dio; Nietzsche, a nome della volontà di potenza e autoaffermazione di ogni essere, dell'«oltre (o super) uomo» e della «morte di Dio». La stessa neutralità delle scienze, la moralità, la verità perdono l'ancoraggio dell'oggettività e tentano di trovare le loro legittimazione nella responsabilità del singolo individuo. Quest'ultima, per altro, viene subito rimessa in discussione da Marx, a partire da una nuova impostazione del rapporto di interdipendenza tra le scienze economiche e gli altri ambiti del sapere, e da Freud, sulla base di un'inedita messa in gioco, nel processo di crescita etico-comportamentale del singolo e nella formazione dei temi culturali e sociali, dal riconoscimento psicoanalitico della pervasività del desiderio sessuale.

Analizzare come, nel corso di un secolo, tutto ciò abbia potuto accadere è compito che già abbiamo tentato di fare (il foglio 401) e che qui possiamo riprendere solo per indicarne gli esiti.

L'eroe di questa avventura è il soggetto, che presto ne diventa anche la vittima. Appropriatosi, infatti, di tutte le potenzialità attive e passive della conoscenza, il soggetto si è sentito l'unico padrone di se stesso e del mondo e, ritenendosi adulto e maturo, ha pensato di dover ricostituire l'intero panorama del sapere da questa nuova posizione di potere.

La tradizione è diventata il passato. L'immagine passata del mondo una costruzione fittizia e falsa. La nuova chiarezza di sguardo, acquisita col primato della ragione, si è fatta l'unica fonte certa per la costruzione di una sapienza finalmente veritiera, di una società più giusta e umana, di un mondo ricondotto alla sua specifica naturalità e, sempre migliorabile, funzionalità.

Nulla, almeno per le élites culturali e sociali del XIX secolo è stato più come prima. Filosofia, scienze, religione, politica, economia, studi sociali e giuridici, storici, antropologici, psicologici, medici, matematici hanno rinnovato le loro basi e i criteri di valutazione. È esplosa la cultura e con la moltiplicazione dei campi di ricerca e delle discipline è esplosa anche quella parvenza di unitarietà che caratterizzava il sapere fin quasi al trionfo-tonfo della modernità, preannunciato dal trionfo-tonfo del soggetto e dalla perdita di stabilità del mondo naturale, travolto dall'evoluzionismo e dalle sempre più problematiche teorie cosmologiche e fisiche.

 

Doctor Jekyll e Mister Hayde

Sì, è il soggetto che fattosi solo eroe del sapere e del potere è stato costretto ad assumere se stesso come oggetto di studi, ad interrogarsi e a cominciare a mettere in discussione la neutralità, l'obiettività del proprio giudizio, la limpidezza morale e concettuale delle proprie deliberazioni. Ed è stato l'oggetto, già ridotto a natura passiva a rivendicare un ruolo attivo, imprevedibilmente e rivoluzionariamente innovatore nella propria storia; a tentare così di ribaltare nuovamente a suo vantaggio il processo conoscitivo, ormai reso dinamicamente creativo e non più solo passivamente ripetitivo. Tanto che alla fine dell'Ottocento si ricostituisce la polarità di due gnoseologie contrapposte che rinnovano i fasti del secolare duello razionalismo - empirismo nella forma del dualismo idealismo storicista - positivismo naturalista. Entrambe fieramente in polemica tra loro ed entrambe convinte di essere caposcuola di un movimento culturale e sociale capace ormai di avviare la storia verso un infinito, comune e progressivo processo di benessere e di pace.

Siamo alle soglie della “Belle epoque”, dominata dall'ideologia del progresso, ma insidiata dai dubbi sulla limpidezza e il disinteresse del suo eroe, il soggetto, figlio del puro Spirito e della cultura (Doctor Jekyll) o/e ultimo evoluto prodotto della pura violenza bestiale (Mister Hayde); minacciata dagli imprevedibili esiti di tante novità e assediata dal rimpianto di non meno magniloquenti e oscure certezze; affascinata da nuovissime utopie fantascientifiche e da altrettanto utopiche fantasie neogotiche e floreali

Certo non tutta la produzione letteraria, artistica, filosofica e neo-scientista si è lasciata travolgere dall'entusiasmo o dalla nostalgia. Ma anche quella tesa a una comprensione sempre più profonda e problematica della propria condizione storico-culturale ha faticato non poco a capire verso quale eccesso di disordine e di confusione etica, spirituale e materiale, stava andando la civiltà europea. Basterà riandare, per restare sul terreno tutto filosofico di questo lavoro, al tentativo del neo-spiritualista Bergson e del neo-utilitarista James di conciliare le due scuole, in polemica tra loro, intorno ad una concezione più spirituale della materia e più materiale dello spirito, grazie ad una rilettura dell'evoluzionismo in chiave di esperienza (materia e coscienza) creatrice. Esperienza che non è più incontro tra soggetto ed oggetto, come due realtà stabili e distinte (vecchia metafisica platonico-aristotelica, idealista e materialista), ma come emergere del «flusso della coscienza» (spirito) dalla «durata creatrice» (materia) che assommano in sé finito e infinito, soggetto e oggetto (H. Bergson − W. James, Durata reale e flusso di coscienza. Lettere e altri scritti (1902-1939), Cortina 2014).

Aldo Bodrato

(continua)

 

 

 

Il sogno della pace e la tragedia della guerra

Ora l'essenziale assunto etico, filosofico e scientifico, che in questi anni di fine e inizio secolo, avvicina cultori della filosofia e cultori della scienza, rappresentanti di correnti culturali e artistiche diverse, è la convinzione, accompagnata dall'impegno, del progressivo e inevitabile superamento della guerra. Questo proprio all'alba di un fine millennio che avrebbe visto esplodere, senza alcuna vera ragione, le guerre più feroci e devastanti della storia, le cosiddette e prime due guerre mondiali. Nulla di più certo, nel campo delle aleatorie certezze storiche e concettuali, della constatazione che siamo tutt'ora ben lontani dal poter dire qualcosa di vagamente conclusivo su realtà e verità.

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