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filosofia
Solo così la vita si configura autentica, fedele a se stessa e aperta al riconoscimento dell'altro nella sua e nostra specificità e diversità. Al tempo stesso però, sento forte il rischio di trasformare la riflessione su tale identità, intesa come necessaria coscienza di sé, del proprio presente e del proprio passato, in «rivendicazione di identità», in massiccia pretesa di fare dell'«identità sociale e culturale» una bandiera ideologica e politica nel confronto tra gruppi, popoli e culture. È in questi termini, infatti, che oggi il problema dell'identità si pone, che la parola «identità» acquista rilievo e significato pubblico: come aggressiva difesa dei propri interessi, del proprio spazio vitale, del proprio supposto «se stessi», come tutela dagli interessi, dal bisogno di spazio e di autoaffermazione dello «straniero». Questo perché il termine «identità» porta con sé una tendenza all'inclusione o all'esclusione più forte assai che all'apertura e al dialogo. Evoca la pretesa di definibilità dell'individuo e della società, la possibilità di configurarli secondo precisi parametri, storici, etici, culturali, religiosi, secondo confini che includono ed escludono, che creano cioè identità differenti e potenzialmente contrapposte. Tutto ciò mentre invece l'essere proprio dell'uomo, preso come singolo o come comunità, è un essere in continua trasformazione, ha un'eredità mai totalmente definibile e va verso un futuro assolutamente aperto. L'identità umana è una non identità e chi tenta di renderla definibile in termini identitari precisi lo fa a spese della sua autenticità. «Abisso invoca abisso» Anche senza evocare la nostra origine, che si perde nel caos dell'informe o nell'insondabilità di Dio, resta il fatto che noi siamo un mistero a noi stessi e che tale sono gli altri per noi. «Abisso invoca abisso» non solo nel dialogo uomo-Dio, ma anche in quello uomo-uomo, uomo-mondo. E questo lo sperimentiamo quotidianamente se ci rendiamo conto, nell'incontro con l'altro, simile a noi o dissimile, uomo, animale o pianta, che i volti sempre si interrogano, si indagano, invocano reciproco riconoscimento, si attraggono e respingono, si atteggiano, mutano. I volti si formano nel dialogo, si aprono, si chiudono, diventano rugosi, accigliati, sorridenti, distesi. Mutano giorno dopo giorno, non restano mai uguali a se stessi, a meno che su se stessi si chiudano, a meno che non si trasformino in maschere, non si ossifichino in identità pretese e presuntuose, minacciose o melense. I volti si riconoscono quando si incontrano, perché evocano incontri, non identità in sé, evocano esperienze vissute insieme, non marchi di fabbrica. Quando diciamo di uno «È nero, è bianco, è meridionale, settentrionale, italiano, francese. Lo si vede alla prima occhiata. Basta guardarlo», evochiamo identità fisse escludenti, classificanti, pregiudiziali. Non riconosciamo volti o persone, li classifichiamo e non riconosciamo neanche noi stessi, ci caricaturiamo. E lo stesso se diciamo: «È (sono) islamico, cristiano, colto o incolto. Basta sentirlo (mi) parlare. Basta vedere i suoi (i miei) segni e comportamenti distintivi». La rivendicazione d'identità, la difesa a oltranza della propria identità, la ricerca di identità sono il tarlo della convivenza umana, la corrodono, la parcellizzano, buttano sabbia, non olio, negli ingranaggi dell'incontro e del dialogo. Favoriscono le aggregazioni di parte, costruiscono schieramento, alimentano lo spirito identitario, che dà forza ideologica allo scontro nella battaglia per la sopravvivenza culturale, economica e sociale dei gruppi, dei movimenti, dei popoli. La critica dell'identità, forse, indebolisce la resistenza all'omologazione, può in alcuni casi disorientare. Nessuna parola, nessun comportamento umano, anche il più benintenzionato, è esente da ricadute imprevedibili, dal rischio dell'eterogenesi dei fini. L'importante è saperlo. Non illudersi che le cose vadano sempre nel senso voluto. Ma soprattutto l'importante e saper fondare la propria scelta sull'analisi corretta dei pericoli del proprio tempo, e oggi, quello della guerra di tutti contro tutti in nome della propria identità, dei propri sacrosanti diritti e interessi, mi pare il più grave. Divino stupore Dopo aver fatto l'uomo A sua immagine e somiglianza Dio lo guardò e disse: Toh, vedi, che buffo! Non sapevo di essere così. Così come?, gli chiese questi. Così diverso.
Aldo Bodrato
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